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Un nuovo studio suggerisce che il sistema immunitario potrebbe essere la chiave alla base della depressione e dei trattamenti che non funzionano

La depressione resistente al trattamento è stata per anni un enigma doloroso sia per i pazienti che per gli specialisti. Tuttavia, un recente studio pubblicato su Advanced Science e diffuso da Psychology Today ha appena acceso una luce inaspettata: la chiave potrebbe non essere solo nel cervello, ma nel sistema immunitario stesso. Questa scoperta sfida decenni di convinzioni e suggerisce che la causa di uno dei disturbi mentali più complessi potrebbe essere nascosta nei circuiti biologici di difesa dell’organismo. Il nuovo approccio non solo riscrive ciò che si sapeva sulla malattia, ma apre anche la porta a trattamenti rivoluzionari e alternative prima impensabili per coloro che fino ad ora non trovavano sollievo.

Un approccio innovativo: biologia e tecnologia al servizio della salute mentale

A differenza delle ricerche precedenti, il team scientifico ha sviluppato un approccio olistico analizzando in parallelo tre sistemi biologici fondamentali nelle stesse pazienti: proteine nel sangue, cellule immunitarie e modelli di cervello in miniatura (organoidi) creati dalle cellule delle partecipanti stesse.

Il gruppo di studio era composto esclusivamente da donne con diagnosi di disturbo depressivo maggiore resistente al trattamento, in particolare quelle con sintomi atipici e quadri psicotici, che di solito traggono scarsi benefici dagli antidepressivi tradizionali.

Questo approccio ha permesso di osservare simultaneamente come interagiscono i sistemi biologici e in che modo la malattia è inscritta nella fisiologia delle pazienti.

I risultati, spiegati in dettaglio da Psychology Today, hanno mostrato che le pazienti presentavano livelli particolarmente elevati di proteine legate allo stress e all’infiammazione. Due marcatori sono risultati centrali: il DCLK3, che aiuta la sopravvivenza neuronale in momenti di stress, e il C5, protagonista del sistema immunitario complementare, entrambi notevolmente elevati.

Questi marcatori infiammatori presentavano una correlazione diretta con l’intensità dei sintomi di ansia, depressione, trauma e stress riportati dalle pazienti, il che indica una chiara connessione tra lo stato biologico e il benessere psicologico.

Analizzando le cellule immunitarie, gli scienziati hanno rilevato un’attivazione anomala. I neutrofili e i monociti, responsabili della difesa contro le minacce generali, erano altamente attivati, mentre le cellule T e B, responsabili dell’immunità adattativa, erano esaurite e con scarsa capacità di risposta.

Tale squilibrio suggerisce un corpo in stato di allerta costante, come se fosse pronto a combattere una minaccia invisibile, nonostante l’assenza di una malattia fisica specifica.

Mini cervelli per lo studio della vulnerabilità cellulare

Lo studio ha fatto progressi utilizzando organoidi cerebrali: piccole strutture che simulano il cervello, sviluppate a partire da cellule staminali estratte dal sangue di una paziente.

Confrontando questi organoidi con quelli creati da un controllo sano, i risultati sono stati sorprendenti: i modelli derivati dalla paziente sono cresciuti più lentamente, erano di dimensioni inferiori, avevano una quantità ridotta di cellule progenitrici neurali e presentavano un tasso di morte cellulare più elevato.

Inoltre, sottoponendo entrambi i tipi di organoidi alla dexametasone (un ormone sintetico che imita l’effetto dello stress), le alterazioni genetiche risultavano molto più profonde negli organoidi della paziente. Secondo Psychology Today, ciò indica che la vulnerabilità allo stress potrebbe essere inscritta nella biologia cellulare nei casi di depressione resistente.

Trauma psicologico e modificazioni biologiche: due facce della stessa medaglia

Il legame tra trauma, esperienza vitale e biologia è stato rafforzato. Le donne con depressione resistente hanno riportato una maggiore esposizione a situazioni traumatiche nel corso della loro vita rispetto al gruppo di controllo.

Come sottolinea Psychology Today, il trauma “lascia tracce biologiche”, il che suggerisce che le avversità vissute possono modificare il funzionamento del sistema immunitario e avere un profondo impatto sulla salute mentale. Ciò conferma la necessità di prestare attenzione sia ai fattori psicologici che a quelli biologici nel trattamento della depressione.

Le implicazioni di questi risultati sono potenzialmente rivoluzionarie. L’articolo di Psychology Today sottolinea che il futuro della salute mentale potrebbe dipendere dall’affrontare i sintomi depressivi da una prospettiva neuroimmunitaria, in cui la valutazione dell’infiammazione, del funzionamento immunitario e della storia di traumi sia integrata nella progettazione delle strategie terapeutiche.

Se l’infiammazione si rivelerà un fattore chiave, gli interventi antinfiammatori e i trattamenti mirati al sistema immunitario potrebbero diventare alternative reali per coloro che non rispondono agli antidepressivi tradizionali.

Queste scoperte rafforzano l’importanza di un approccio olistico alla salute mentale, in cui gli aspetti biologici e psicologici siano considerati congiuntamente. La sfida per i professionisti sarà quella di combinare conoscenze ed esperienze per progettare interventi che riflettano la complessità dell’esperienza umana e favoriscano il recupero integrale di coloro che soffrono di disturbi depressivi.

La ricerca segna una svolta nell’approccio alla depressione resistente: pone il sistema immunitario e la biologia individuale come elementi chiave nella ricerca di trattamenti efficaci e personalizzati, rinnovando la speranza per milioni di persone che attendono risposte al di là della medicina convenzionale.

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