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Solitudine durante le feste: perché non è un fallimento sociale e può essere l’atto di cura di sé di cui hai bisogno

Arriva dicembre e con esso quell’atmosfera di bilanci, luci, addii e tavole imbandite. Ma arriva anche qualcosa che pochi menzionano: mentre per molti è un periodo di incontri, per altri è un momento in cui la solitudine diventa più evidente. E la verità è che, anche se l’idea di trascorrere le feste da soli genera ancora un certo disagio sociale, non è sempre un segno di isolamento o tristezza. A volte può essere un atto di cura di sé, di chiusura o persino di libertà emotiva.

Cosa succede nel cervello

Dicembre attiva molteplici sistemi nel nostro cervello. Da un lato, le luci, la musica e le routine di fine anno stimolano il sistema dopaminergico, associato al piacere e alla ricompensa. Ma allo stesso tempo, i bilanci e il confronto sociale (ciò che “abbiamo raggiunto” o “non abbiamo raggiunto”) attivano il sistema limbico, legato all’emozione e alla memoria.

Per questo motivo, durante le feste, molte persone provano un misto di gioia e malinconia, di gratitudine e stanchezza. Questa coesistenza emotiva è normale. Il cervello non elabora la fine dell’anno solo come un evento sociale, ma come un aggiornamento emotivo della storia personale.

La pressione di “non essere soli”

L’idea che “bisogna trascorrere le feste in compagnia” risponde più a una norma culturale che a un bisogno emotivo. Storicamente, dicembre è stato associato alla riunione familiare e alla celebrazione collettiva. Ma nella vita moderna, caratterizzata da legami più diversi, famiglie riconfigurate e migrazioni costanti, questa norma diventa spesso fonte di pressione. Dalla psicologia sappiamo che la solitudine non è necessariamente assenza di legami, ma un’esperienza soggettiva di disconnessione.

Una persona può sentirsi profondamente sola anche se circondata da altre persone, oppure in pace con se stessa anche se quella sera non ha compagnia. Per questo motivo, trascorrere le feste da soli non è un fallimento sociale: può essere un momento di pausa, di respiro o di ricostruzione emotiva.

La solitudine fa male

Tuttavia, c’è una differenza importante tra essere soli per scelta e sentirsi soli senza volerlo. Nel primo caso, l’isolamento è riparatore. Nel secondo, può essere doloroso e influire sulla salute mentale. La neuroscienza ha dimostrato che la solitudine indesiderata attiva le stesse aree cerebrali del dolore fisico: la corteccia cingolata anteriore e l’insula. Ecco perché fa così male.

Inoltre, la mancanza di una connessione sociale duratura aumenta i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, e può influire sul sonno, sulla concentrazione e sull’umore. Se l’arrivo delle festività amplifica questo dolore, è importante non minimizzarlo né cercare di forzare la gioia, ma riconoscerlo per quello che è: un segnale emotivo valido che richiede contatto, sostegno o compagnia.

La solitudine non è sempre una scelta. Molte persone la vivono perché la loro famiglia è lontana, per impegni di lavoro, cambiamenti di città o motivi personali che li allontanano dagli incontri abituali. In questi casi, la sensazione di isolamento può essere più intensa e accompagnata da frustrazione o tristezza. Riconoscere questa realtà è importante: sentire il desiderio di compagnia e non poterla avere non è una debolezza, ma una risposta naturale del nostro cervello sociale, che ha bisogno di contatto e appartenenza. Tuttavia, ci sono modi per creare vicinanza emotiva a distanza e trovare piccoli gesti che confortano, come messaggi, telefonate o rituali personali che danno senso alla serata.

Riconfigurare l’essere soli

Una parte essenziale del lavoro terapeutico in questo periodo è ridefinire il significato dell’essere soli. Non sempre implica isolamento: può essere uno spazio per ritrovare se stessi, riposarsi dal rumore emotivo o guarire legami che hanno fatto male.

Molte persone scelgono di trascorrere le feste da sole come un modo per segnare una chiusura emotiva. Dopo un lutto, una separazione o un anno difficile, stare in calma, lontano dal rumore o anche viaggiando, può essere un modo per riconnettersi profondamente. Il problema non è la solitudine in sé, ma il modo in cui la giudichiamo. E questo è qualcosa che possiamo cambiare.

Consigli

Ecco alcune strategie per prendersi cura della propria salute mentale in questo periodo.

• Rivedere le aspettative: non tutte le feste devono essere come quelle dei film. Va bene se sono tranquille, piccole o diverse.

• Creare rituali personali: cucinare, accendere una candela, scrivere una lettera o guardare un film. I rituali, anche se semplici, aiutano il cervello a segnare la chiusura e il rinnovamento.

• Connettersi in altri modi: un messaggio, una videochiamata o anche una passeggiata possono essere validi modi per connettersi emotivamente.

• Prendersi cura del proprio corpo: dormire bene, mangiare con moderazione e muoversi aiutano a regolare l’umore.

• Chiedere aiuto se necessario: se la tristezza è intensa o l’isolamento si prolunga, parlare con un professionista può essere fondamentale per evitare che la solitudine si trasformi in sofferenza.

Assenze

Per molti, il dolore non sta nell’essere soli, ma nel sentire la mancanza di chi non c’è più. Le feste tendono ad amplificare queste assenze, perché tutto ciò che ci circonda ricorda le persone che hanno segnato la nostra storia.

In questi casi, non bisogna negare il dolore, ma dargli un posto simbolico. Accendere una candela, pronunciare il loro nome o condividere un ricordo sono gesti che aiutano il cervello a integrare la perdita in una narrazione di continuità.

Opportunità emotiva

Al di là dei bilanci o dei brindisi, dicembre può essere considerato come un laboratorio emotivo. Un momento per osservare come stiamo, quali legami ci fanno bene, quali abitudini vogliamo lasciarci alle spalle e quali vogliamo rafforzare.

Dalla neuroscienza del cambiamento, sappiamo che le “chiusure simboliche” aiutano il cervello ad aggiornare obiettivi e valori. Piuttosto che temere la solitudine delle feste, possiamo usare quel tempo come uno spazio di riconfigurazione interna.

A volte il silenzio di una notte di dicembre dice più di mille conversazioni. Trascorrere le feste da soli non significa che qualcosa sia rotto. A volte significa che stiamo imparando a stare bene con noi stessi.

Perché la vera compagnia non è sempre a una tavola imbandita, ma nella pace di sentire che non abbiamo più bisogno di fingere di appartenere a un luogo che ci mette a disagio. Se quest’anno ti capita di brindare in silenzio, che sia anche un brindisi per te: per quello che hai superato, per quello che hai lasciato andare e per quello che, anche nella calma, continui a costruire.

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