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La NASA lo sta già osservando con interesse: il robot di ghiaccio che potrebbe conquistare altri pianeti

Inviare un veicolo su Marte non è proprio economico, infatti la missione che ha portato il rover Perseverance sul pianeta rosso ha superato i due miliardi di euro. A questo si aggiunge il fatto che ogni componente, dalle telecamere alle ruote, deve sopravvivere in un ambiente in cui non è possibile ripararlo in officina. Se un pezzo si rompe, la missione fallisce con esso, ed è per questo che gli ingegneri iniziano a porsi una domanda che potrebbe cambiare tutto: e se i robot del futuro potessero ripararsi da soli, riconfigurarsi o persino replicarsi con i materiali disponibili sul pianeta stesso?

Robot nati dal ghiaccio

All’Università della Pennsylvania hanno fatto un primo sorprendente passo in questa direzione. Il loro prototipo si chiama IceBot, e il nome non lascia dubbi: sì, è fatto di ghiaccio.

Il concetto è tanto semplice quanto rivoluzionario: nei mondi ghiacciati, da Marte ad alcuni asteroidi, il ghiaccio è abbondante, modellabile e, soprattutto, gratuito. Costruire robot con esso consentirebbe di ridurre i costi delle missioni e prolungarne la vita utile senza la necessità di inviare pezzi di ricambio dalla Terra.

Il primo IceBot è stato realizzato a mano, con ruote e un corpo centrale scolpito nel ghiaccio, ma è già pienamente funzionale. Il team sta ora lavorando a metodi di produzione più automatizzati, dalle tecniche additive ai sistemi di scultura meccanica con trapani, che per ora sono i più efficienti.

La visione a lungo termine è quella di inviare due tipi di robot: da un lato uno incaricato di raccogliere ghiaccio e altri materiali, e dall’altro uno che utilizzi queste risorse per ripararsi o assemblare nuovi pezzi. Ovviamente, i componenti elettronici continueranno ad essere metallici, ma l’idea è di ridurli al minimo per evitare guasti irreversibili.

Il prototipo attuale pesa poco più di sei chili e sarà testato prima in Antartide, un ambiente perfetto per simulare le condizioni dei mondi ghiacciati. Se funzionerà, potrebbe diventare uno strumento chiave per esplorare regioni dove il freddo estremo è ciò che determina i tempi.

Nel frattempo, altri team cercano soluzioni per pianeti che non hanno ghiaccio, ma condizioni impossibili. Venere è l’esempio migliore: la sua superficie combina temperature roventi, nuvole di acido solforico e una pressione atmosferica in grado di schiacciare qualsiasi macchina.

Inviare un rover come Perseverance su Venere significherebbe condannarlo fin dal primo minuto. Ecco perché la NASA sta puntando su un’altra strategia: quella di esplorare dall’aria. Ha appena firmato un accordo per sviluppare un pallone robotico in grado di fluttuare nell’atmosfera venusiana, dove le condizioni sono meno letali che in superficie.

Questi palloni occuperebbero una posizione intermedia tra i satelliti e i veicoli terrestri: più vicini al pianeta di un orbiter, ma senza esporsi all’inferno del suolo venusiano. L’obiettivo è creare un pallone resistente, autonomo e dotato di sensori capaci di analizzare l‘atmosfera, studiarne la chimica e mappare il terreno dall’alto.

Tra robot di ghiaccio e palloni per pianeti impossibili, l’esplorazione spaziale sta entrando in una fase in cui la creatività conta tanto quanto l’ingegneria. E forse, tra qualche anno, quando parleremo di missioni su Marte, Venere o oltre, scopriremo che gli esploratori del futuro non assomigliano affatto a quelli che inviamo oggi.

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